La seconda scomparsa di Fidel



Che mondo lascia Fidel, dopo i suoi funerali previsti per il 4 dicembre e il lutto nazionale che interesserà Cuba per nove giorni? Quello di un turbo capitalismo secondo cui la mondializzazione ha un profilo avido, così economicamente selvaggio da diffondere povertà non solo nei paesi che attendevano una chance dalla globalizzazione, ma anche in significativi settori dei paesi che hanno spinto e sostenuto questa strategia cannibale. 



Sedici anni dopo che si è chiuso il secolo delle rivoluzioni in cui lui ha rappresentato un epicentro e un simbolo romantico, il Lider Maximo ci lascia per la seconda volta: la prima, quella più dolorosa, fu quando l'età già avanzata gli consigliò nel 2008 di abbandonare la guida attiva di quella danzatrice verde oliva che rappresentò Cuba, seppur tra luci abbaglianti e ombre inquietanti. 

Fidel con Che Guevara e Elvelio Lafferte', in una postazione della Columna 4


Il suo passo indietro decretò anche la fine dell'epoca in cui il discorso politico riusciva ad essere performativo, scaturito da un fuoco sacro e dai suoi incantamenti. Poi c'è la seconda morte, quella di ieri, naturalmente inquadra nella fatale parabola del tempo che spegne la vita. 



Un tempo impotente di fronte all'immortalità della mitologia a cui la Storia ha consegnato Fidel, riconoscendogli il ruolo prodigioso di colui che riesce a trasformare il sogno in azione, lottando per l'utopia e quindi realizzando una forma di irrealismo economico contro tutto e tutti. 



Motivi che lo hanno trasformato nella bestia nera dell'imperialismo, incarnato dai ben undici presidenti americani, da Eisenhower a Obama, susseguitisi nel cinquantennio in cui Fidel ha guidato Cuba. Certo i detrattori puntano il dito sull'intransigenza, sfociata nel triste e lungo capitolo dei diritti civili frustrati o dell'allineamento imposto agli intellettuali rispetto ai principi della rivoluzione. 

Che Guevara con Castro nel 1965

Molti di questi detrattori li incontriamo tra coloro che giustificano le bombe sugli ospedali infantili in medio oriente come effetti collaterali; mentre, se per caso ce ne sono, gli altri girano la testa dall'altra parte: un autorevole pulpito insomma. 

Dipinto di Raul Martinez

Si sarebbero comportati allo stesso modo con quella borghesia corrotta e con i suoi amici yankee, mafiosi compresi quali Al Capone o Meyer Lansky, che imperversavano sull'isola prima della rivoluzione, gestendola come una casa da gioco tropicale e come un lupanare per ricchi statunitensi. Questa è la fotografia del paese prima che Castro capisca l'inconsistenza di qualsiasi intervento pacifico  volto a modificare questa realtà. 


E allora non restarono che le armi e soprattutto la forza del popolo unito.  La vittoria inattesa e bruciante che è durata oltre cinquant'anni, eliminando la mortalità infantile, favorendo la diffusione della cultura con corsi di laurea che hanno aperto a chiunque il diritto allo studio. Ora si deve andare avanti sulla stessa strada, correggendo tutti quegli errori che hanno trascinato la Rivoluzione cubana in un'occasione in parte deludente. Sembra ancor più urgente di prima in un mondo dove quando vince un Trump, dopo il primo momento di imbarazzo internazionale, la disgrazia sembra già metabolizzata e accettata dai partner, mentre il fuoco inquietante del nazionalismo xenofobo si accende in molti paesi occidentali con le forze della destra populista che vi soffiano sopra.

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