IL COLLAGE COME LINGUAGGIO D'OPPOSIZIONE

 

Balestrini vuole far scattare nel linguaggio poetico una ferma e decisa opposizione contro la banalità del linguaggio quotidiano e all'impotenza della tradizione poetica. La sua convinzione riguarda la necessità  di una poesia che non sia una parentesi tra i ‘problemi. A questo riguardo nel 1959 una sua riflessione intitolata Linguaggio e opposizione veniva ospitata come testo in appendice all’antologia dei Novissimi, e in un passaggio il poeta scrive: “Accade talvolta di notare, nello sclerotico e automatico abuso di frasi fatte e di espressioni convenzionali che stanno alla base del linguaggio comune parlato, un improvviso scattare di impreveduti accostamenti, di ritmi inconsueti, di involontarie metafore; oppure sono certi grovigli, ripetizioni, frasi mozze o contorte, aggettivi e immagini spropositate, inesatte a colpirci e a sorprenderci […] straordinarie apparizioni che arrivano a illuminare da un’angolazione insolita fatti e pensieri”. In un suo appunto del 1961 si legge: "è in un’epoca tanto inedita, imprevedibile e contraddittoria, che la poesia dovrà più che mai essere vigile e profonda, dimessa e in movimento.


Non dovrà tentare di imprigionare, ma di seguire le cose, dovrà evitare di fossilizzarsi nei dogmi ed essere invece ambigua e assurda, aperta a una pluralità di significati e aliena dalle conclusioni per rivelare mediante un’estrema aderenza l’inafferrabile e il mutevole della vita". Nella strategia ideata per scardinare il linguaggio, Balestrini non fa che esibire ed eleggere a principio cardine un procedimento che appartiene alla poesia fin dalle sue origini, fin dai “tempi omerici”, quando l’aedo montava i suoi versi: il montaggio per l’appunto, quel montaggio che, trova la sua piena ribalta e un uso perfettamente consapevole nel Novecento. Lo troviamo nel  cinematografo, nelle teorie di Walter Benjamin, nel significato rivoluzionario dell’abolizione delle gerarchie sintattiche che imprigionano e marchiano il linguaggio classicista/classista. Quel montaggio che giovandosi di formalismi astratti e seriali, si conficca "ben dentro la pienezza delle forze produttive, dando luogo a contingenze differenziate, da null’altro definite che dall’irripetibilità delle relazioni fra stati di cose ripetibili.” (P. Virno, Convenzione e materialismo, 2011). Nel lungo poema Ma noi facciamone un'altra del 1968, Balestrini osserva: "questo tipo di montaggio/non è un sentimento". 


                              

E in questi versi denuncia le derive del sentimento quando degenera in quel sentimentalismo che è la linfa nutriente a cui ha attinto la nostra tradizione poetica. Di conseguenza questo pensiero vuole segnalare che doveva iniziare l'epoca in cui fare una poesia “meno levigata, non smalto né cammeo”. Dopo Auschwitz, diceva T. Adorno, non si può più scrivere poesie. In realtà non c’è più posto per una poesia che si pretenda candida. E allora, dice Balestrini, noi facciamone un’altra, diversa, di poesia... e di rivoluzione. La tecnica utilizzata per costruire la raccolta di poesie che pubblica Feltrinelli con il titolo del poema citato, riguarda in gran parte il metodo del taglio, conosciuto come "cut-up", che sovrapponendo diversi registri di discorso creano combinazioni fondendo diversi contesti, con l’effetto di eludere ironicamente il significato per via dell'esperienza straniante di una parola liberata dalla logica di qualunque discorso. Ciò avviene in primo luogo attraverso un’estetica del riuso e il détournement degli scarti linguistici della produzione di massa, recuperati e riadoperati secondo la tecnica del ready-made dadaista. Le combinazioni montate a cui si accennava, oltre che al cut-up, fanno ricorso al collage e al fold-in) presi in prestito alle avanguardie del Novecento, dal dadaismo al surrealismo alla beat generation. L’attività poetica è quindi concepita come ricombinazione di frammenti linguistici preesistenti, pezzi di realtà prelevati indifferentemente dalla lingua parlata, dai testi letterari, dai media, al fine di ridurre il codice linguistico a una sorta di “grado zero” della significazione. L’oggetto della poesia diviene il linguaggio stesso, "inteso come fatto verbale", scrive ancora Balestrini in Linguaggio e opposizione, dissociato dal suo valore semantico, "impiegato cioè in modo non-strumentale, […] sfuggendo all’accidentalità che lo fa di volta in volta riproduttore di immagini ottiche, narratore di eventi, somministratore di concetti…". 

Vi scorrono i fotogrammi di un film convulso e, bretonianamente, convulsivo: quello del drammatico tornante fra gli anni delle Lotte e dei Terrori e quelli delle Sconfitte e degli Esilî. Come nell’immagine spettrale dell’attacco di Settembre Nero a Monaco 72, Les terroristes (del 1983, quando il poeta abitava in Rue Falguière a Parigi, fuggiasco per via del suo coinvolgimento nelle  inchieste del 7 aprile). Si tratta del profilo di un uomo incappucciato che guarda nel vuoto, lo sguardo perfettamente allineato col bordo orizzontale di una costruzione alle sue spalle, sporgendo da una struttura in cemento come da un istante congelato della Jetée di Chris Marker, cortometraggio di 28 minuti realizzato come foto-cine-romanzo nel 1962 e che si reputa come il lavoro più influente nell'esperienza della nouvelle vagueBalestrini sovrappone all’immagine ritagli di giornale che ne compongono una didascalia straniante quanto amaramente ironica: «Les terroristes, / c’est aussi un beau film / La fête interrompue / Le train de la révolte / du bout du monde / ou le phantasme»). 






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