Cajon Jazz Trio, temperamento e stile


Nell’universo musicale di questi anni, troppo spesso dominato da una certa pesantezza concettuale, il Cajon Jazz Trio orienta la sua ricerca musicale verso l’orizzonte della leggerezza: la leggerezza come freschezza di segni e colori, gusto della magia, palpito sottile dell’azzardo, soprattutto come respiro dell’anima.
Questo progetto, ha portato Evaristo Perez ad organizzare un gruppo che sedimenta nella musica svariatissime forme dell’esperienza e dell’intuizione, con la sintassi erudita di chi conosce a fondo il linguaggio che usa. Così il repertorio può muovesi con scioltezza dalla tradizione alla sua evoluzione contemporanea, confrontandosi con con autori decisivi del jazz Novecentesco, o esplorando i maestri segreti che appaiono in filigrana nelle composizioni originali.
Il concerto tenutosi all’Auditorium Ottavanota dal trio, è equivalso ad una ininterrotta immersione in emozioni vibranti, aperte ad un gioco ondoso ed erratico dove la gentilezza del gesto e la sicurezza con cui gli strumenti hanno dialogato, spargevano i semi di quella leggerezza accennata.
Una condizione mentale che si percepiva nello scorrere delle melodie, dei ritmi, delle armonie e si vedeva nella fisicità dei corpi che accompagnavano tutta la musica come in una danza a tre, fatta di sguardi complici, sorrisi, sorprese reciproche. In questo teatro cangiante, il tessuto musicale si articola senza nessuna forzatura stilistica, tra i chiaroscuri di una naturalezza trasparente, tesa, ricca della passione meditativa che ne è il midollo forte e sotterraneo.




Perciò il pubblico ha potuto assistere  ai gesti con cui i musicisti costruivano la musica, abitandola come la propria stessa casa, disegnandone le forme nei suoi doni improvvisi, nella sua luce rapinosa, nei suoi spazi aperti; abbandonandosi spesso al soffio della grazia come alla vertigine di figure ripetute da un’autentica forza ipnotica e incantatoria.
Il loro raffinato gioco di squadra, ci insegna il valore assoluto dell’ascolto reciproco e del puntiglioso lavoro necessario a trasformarlo in azione creativa, indicandoci inoltre che la bellezza di un’opera collettiva come è la musica d’insieme, non può scaturire senza la condivisione dell’umanità di chi la interpreta.
Questa intesa umana ed artistica è un altro dei lati vincenti che riconosciamo ad Evaristo Perez, l’ideatore della formazione che ha saputo scegliere con acume i suoi partner, disponendosi ad accoglierne la personalità e le idee come elemento vitale della sua stessa funzione di band leader. Dal punto di vista stilistico e strumentale, il suo pianismo sfoggia un tocco elegante, una brillantezza armonica cristallina, un pensiero controllato nel fraseggio e delle idee melodiche articolate in linee di personale lirismo.
Le sue composizioni, che nel cd sono raffinate, meditative e mature, dal vivo fanno emergere altre qualità complementari, sviluppandosi in un inno continuo rivolto alla scrittura come vitalità e all’improvvisazione come vertigine dell'invenzione istantanea. Tra tutte ha colpito particolarmente una pagina che nell’ispirazione di Perez voleva alludere all’impalpabile fruscio che fanno le ali degli Elfi, provando con successo a trascinarci nel volo fatato della rêverie dove intorno alla sua atmosfera mitica, si sono raccolte una sequenza di deliziosi profumi e di inquietanti epifanie di certe infantili favole nordiche.

Il Cajon Jazz Trio all'Auditorium Ottavanota
Dal lato suo, Philipp Bassoud ha dimostrato di essere un contrabbassista solidissimo comme il faut, nella tecnica e nel timing, ordinato ed empatico, mai sopra le righe, sempre vigile e musicale nell’adattarsi agli equilibri sonori delle dinamiche e alle oscillazioni delle forme guidate da Perez di volta in volta.  Per ultimo, il vero caso della serata. Una sorpresa totale, non solo in sé, ma nella sua integrazione e funzione d’assieme, con gli altri due strumenti.
Parlo del cajon, straordinaria percussione strappata dal recinto pittoresco ed entusiasmante del flamenco e invitata ad offrire tutti i suoi colori, le sue risonanze vibranti, flessibili e profonde, completando il trio al posto della consueta batteria. E come accade per certi incontri che non si progettano, ma avvengono perché devono avvenire, Marta Themo e il suo strumento sembrano essere indispensabili ed insieme illuminanti per questo progetto.
La Themo elargisce con nonchalance una finezza sensibile, esercitata puntualmente e precisamente, negli unisono, nelle punteggiature, negli assolo, nelle scelte dei dettagli sonori. Per tutto il concerto è lì, incantevole e positiva, suonando una cassa di legno su cui è seduta ed un piatto turco, usando le mani nude o le spazzole, disegnando pulsazioni swinganti o figure di festosa buleria che animano, ad esempio, una versione trasfigurata di Alice in wonderland… come accompagnandola tra le strade di Triana.
E in questa limpidezza sognante e incantata, la percussionista di origini polacche, ammicca e sorride ai compagni, nutrita del sentimento di leggerezza sottolineato nell’avvio di questa nota. In conclusione, merita ricordare che il concerto è sembrato così interessante e vario da consumarsi in un baleno, ammaliando il pubblico tra le sue spirali sonore e lasciandolo, dopo le suggestioni di un languido bis, desideroso di musica, di gesti, di sorrisi, di trattenersi ancora un pò in quel regno di Utopia dove il trio lo ha invitato.    

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