In scena “M¡longa” di Sidi Larbi Cherkoui, ovvero l’incontro (questa volta) felice tra il tango e la danza contemporanea

Dal 2000 la danza contemporanea ha assistito alla nascita di un nuovo prodigio della coreografia, Sidi Larbi Cherkaoui. Belga di nascita, madre fiamminga e padre nato a Tangeri, vegetariano, buddhista, omossessuale, pallido come un principe in un balletto romantico, Cherakoui ha trascorso i suoi anni di formazione alla Performing Arts Research and Training Studios fondata ad Anversa da Anne Teresa De Keersmaeker e crogiuolo d’incontri straordinari con personaggi quali Trisha Brown, Pina Bausch, Merce Cunningham…
Forte di questa esperienza rigorosa ed aperta, il suo lavoro creativo si è indirizzato nel campo del linguaggio inclusivo di tradizioni culturali diverse, che a dire il vero, è ormai una modalità poco sorprendente e condivisa da tutte le espressioni artistiche contemporanee.



In questo caso, il manerismo è scongiurato dal peso rilevante di una lucidità che coglie l’essenza dei materiali eterogenei utilizzati. Infatti, ogni spettacolo di Cherkaoui è il parto virtuoso delle suggestioni di una indomabile curiosità che viene saziata con una ricerca dettagliata sul campo, un intransigente perfezionismo coltivato con delicatezza e rispetto, ed un cast di collaboratori ideali per realizzare le messe in scena.
Un metodo di lavoro che non è programmato attivamente come avviene regolarmente in questi casi, con il rischio di cadere nel folklore o nell’esotismo, ma suggerito dall’attrazione che Cherkaoui ha verso le persone che possono esprimersi attraverso qualità differenti: non importa la loro origine ma la connessione che può scaturire dalla loro interazione.



Quindi, le armoniose creature sceniche che Cherakoui propone con la sua compagnia, sono compatti resoconti estetici di un’ammaliante babele melting-pot, dove viene articolata una girandola di tumultuose coreografie vertiginosamente fisiche che coniuga assonanze e dissonanze, tradizione e contemporaneità.
La sarabanda poetica del viaggio coreografico, che si dispiega come uno studio emotivo sulla capacità di abitare l’omogeneità con la differenza, parte da un assetto tradizionale e attraverso il respiro del contrasto, giunge ad un lessico informale che sprigiona fiammanti vortici di energia drammaturgica.



L’abbraccio di danze bengalesi come il kathak, l’alterità del flamenco, la grazia della danza indiana, l’impalpabilità di quella giapponese, e via dicendo, è un materiale di riflessione da ricostruire nei movimenti stilizzati di scene ipnotizzanti che esprimono l’immersione interiore nei rispettivi universi spirituali. Le sequenze della danza cambiano continuamente di stato, ora ondulate in una fluidità liquida, ora spigolosamente solide e terrene, ora capaci di colorare l’aria di arabeschi acrobatici.
Quest’anno, Cherkaoui porta in giro per teatri del mondo il suo nuovo spettacolo che attraverso le sue alchimie coreografiche, prova a scardinare l’idea monolitica intorno al quale è riconosciuta una danza straordinaria come il tango.
M¡longa, che il New York Times ha battezzato come un “mélange sontuoso di forme gestuali ibride e di un teatro di intensa carica affettiva”, è andato in scena al Théâtre du Jorat di Mézières e prossimamente sarà in programma al festival di Ravenna (6-7 luglio). Il cast è formato da due ballerini contemporanei, Damien Fournier e Silvina Cortes, che si uniscono a cinque coppie di ballerini di tango argentino selezionati da Nelida Rodriguez.



La musica è rigorosamente eseguita dal vivo con elegante compostezza, da un quintetto di eccellenti musicisti argentini chiamati a delineare un collage di composizioni di Fernando Marzan, Szymon Brzóska, Olga Wojciechowska.
Lo spettacolo segue il filo della contaminazione del gesto contemporaneo, attraverso quello che caratterizza il tango, secondo un processo dove i codici, le abitudini, i clichè, si trasformano, aprendo un nuovo orizzonte. L’eterno allacciarsi dei corpi e il dialogo ipnotico che li unisce, sono i due elementi che fanno da comun denominatore tra il tango argentino e la formidabile fisicità coreografica di Cherkaoui.
Ci sono mille maniere di leggere il tango e il coreografo di Anversa lo fa, impregnandolo del suo stile unico che ne scardina i clichè per combatterne i luoghi comuni e la tendenza museale.
La sua osservazione esterna vuole mostrare l’incredibile precisione delle figure di questa danza, la loro geometria confinante con la mistica di una radice culturale che accompagna i ballerini di tango nel cuore della loro tensione introspettiva: essere uno, emanando un profondo sentimento di solitudine dove in questa unità ognuno fa i propri e distinti passi.I ballerini sono quindi chiamati a seguire l’ispirazione per creare delle situazioni dove possono usare le loro stesse capacità altrimenti, destabilizzate per sentire la vertigine salire definendo le forme di una nuova tecnica, al limite del loro corpo, al limite della loro relazione nell’abbraccio, al limite di essi stessi, introducendo un altro/a nel dialogo muto dei loro gesti.




In questo processo di destrutturazione anche l’archetipo del maschile e del femminile viene messo in discussione, suggerendo una relazione più ambiguamente androgina tra i ballerini, sempre in nome di una nuova ricerca emozionale e della costellazione di differenze che questa può innescare. Ad esempio in alcune coreografie sono le braccia a diventare protagoniste, mentre nel tango la loro funzione è essenzialmente quella di sostenere l’abbraccio. Da questa officina dove si aggrega e si disgrega con sublime disinvoltura e metodico rigore, scaturisce, per così dire, un rebus sinfonico dove qualsiasi dislivello tra elementi rilevanti e marginali sembra essere scomparso; dove la prospettiva combinatoria acquista una trama semantica flessibile ed aperta; dove i piani retorici transitano tra diversi stili spogliati dei loro stereotipi.




Tutto rapisce con la stessa forza espressiva, per l’armonia tra la musica, la danza, i video e la scenografia (entrambe di Eugenio Szwarcer), i costumi di Tim Van Steenbergen, l’ingegneria delle luci di Adam Carrè e quella del suono di Gaston Briski. Dall’ouverture con la magica musica del bandoneon e del pianoforte che accompagna un video in cui si susseguono le scene di ballo in una milonga, all’ultimo viscerale pas a deux. i mille spettatori dello Jorat sono stati sedotti e dopo aver tenuto il fiato sospeso durante il caleidoscopico alternarsi di coreografie, hanno scaricato la loro tensione emotiva abbandondosi ad un’ovazione interminabile.

Commenti

  1. Finalmente sei tra i miei preferito, ci ho messo un po', ma promessa mantenuta.
    A presto
    Buddy

    RispondiElimina

Posta un commento

Post più popolari