Brioschi e Finocchiaro, dai giorni del vino e delle rose al terzo millennio
Ultima serata di Duets, con Paolo Brioschi e me in versione stoica. Cosa avremo mai trasmesso al pubblico e comunicato alla sensibilità della nostra aristocratica reporter, Sisa Bertini? Ecco di seguito la risposta alla mia domanda.
DAI GIORNI DEL VINO E DELLE ROSE AL TERZO MILLENNIO
Questa volta è la mia mano ad esitare sulla tastiera, ma di un computer. Un flash-back riporta a galla anni ruggenti di una generazione cresciuta all'ombra, o meglio, al suono diretto dei Chet Baker, Tony Scott, Stan Getz, Art Blakey…che bazzicavano il Capolinea, quando il jazz era praticato abitualmente in una Milano ancora piacevolmente naif.
I primi accordi di Paolo Brioschi fanno capire al pianoforte che musica tira stasera: senza neanche bisogno di aprire uno spiraglio di cassa armonica, la potenza sorprende e dilaga con un ritmo fluente e quando il contrabbasso di Franco Finocchiaro interviene, modulando raffiche di note, si capisce che abbiamo a che fare con l'artiglieria pesante. Nessuna concessione a sentimentalismi, ritagliano ghirlande di rapsodia; il ritmo è serrato in una sequenza di variazioni che lasciano indovinare una lunga pratica di sincronia. Paolo fa spazio al policromo assolo del contrabbasso ed eccoli nuovamente dialettici portare a termine il brano rendendoci partecipi di raffinate riflessioni sul tema di I here a rhapsody.
Finocchiaro introduce il brano successivo e accenna al passato, diversamente prossimo, che li ha visti condividere tanti concerti ed emozioni.
Finocchiaro e Brioschi , negli anni '80 |
Coincidenza o intenzione, intraprendono The days of wine and roses con distillata tristezza; c'è un velo di sarcasmo nel lento crescendo di ritmo e volume attraverso caleidoscopiche geometrie, dove l'incontro delle loro note dà luogo ad armonie mutevoli. Con spasmodico trasporto (col generoso contributo di una tendinite acuta) Finocchiaro si spende in articolate evoluzioni dalla personale coreografia, richiamando a sè il femmineo contrabbasso, come una dama nella danza.
Capto il quasi impercettibile scambio di battute sarcastiche, non capisco...ma i reciproci mezzi sorrisi tradiscono la scanzonata confidenza del duo.
Il piano intona lento la tristezza, sottintesa in rarefatte note di Nearness of you che il contrabbasso sottolinea insistendo su un unico pedale armonico, ad annunciare gli accordi profondi che tornano a far vibrare il ventre, mentre Brioschi riparte in sequenze di armonie che lasciano trasparire paradigmi matematici quasi barocchi. Dissolve il tema per poi essere riacchiappato con disinvoltura e somministrarlo col contagocce, sempre in abbigliamenti nuovi ma di taglio rigorosamente jazz, col contrappunto del contrabbasso di vena particolarmente melodica.
Il brano di Brubeck che vanno a presentare non è il leggendario Take five, che Finocchiaro confessa essere l'incubo dei jazzisti, ma il più variato In your own sweet way , che parte zig-zagando sulla tastiera de pianoforte per trovare il passo dondolante della passeggiata che accelera fin quasi alla corsa, per sostare, in ascolto del contrabbasso, che con falcate vibranti passa da toni gravi a querule note in falsetto. E rimangono sospesi, palleggiandosi diradati accordi fino al silenzio.
Il conrabbasso apre con gli accordi dell'inconfondibile All the things you are , svelto il piano lo raggiunge, nascondendo il tema tra volute di accordi che lo lasciano intuire in trasparenza, per tornare a celarlo nel ventaglio asciutto della tastiera mentre, Finocchiaro definisce la profondità della prospettiva. E il finale si perde negli applausi.
Il ritornello bossato dell’ Estate di Bruno Martino, sprofonda e risale sugli scalini del pianoforte, perduto e cercato ancora con la mano destra, mentre la sinistra accarezza i bassi fino a far partire il contrabbasso, che ispirato sconfina nella melodia del tema, accennando un passo arabeggiante, supportato dal sospiro di laconiche note del pianoforte che poi si affollano nuovamente nel tema per continuare a perderlo in arpeggi sempre più lontani, finché solo il contrabbasso ne mantiene la memoria.
Emily, jazz waltz tratto dal repertorio di Bill Evans, si rivela in un'interpretazione pianistica molto pertinente: scevro di qualsiasi orpello duetta col cordofono con la compostezza ispirata dalla versione evansiana e invece di prendere appunti mi gusto la musica gusto fino al suo liquido finale.
Riparte Paolo con Like someone in love, scandendo accordi circolari come riflessi di sassi gettati in uno stagno; lo raggiunge il contrabbasso in una conversazione lieve che gradatamente si trasforma in un discorso sui massimi sistemi e ribaltando i ruoli senza prevenzioni, aggiungono un pizzico di pepe al loro gustoso repertorio.
L'ultimo brano è dedicato al padrone di casa, costretto ad abbandonare il suo sigaro oltre la soglia per presenziare agli auguri per il suo cinquantesimo genetliaco. A celebrare degnamente il caro Mimmo, e la sua arte fotografica, ecco un calzante Retrato em branco e preto, interpretato con sincopata commozione subito avviluppata in uno sfarfallio di note pudiche: a tratti ammutolite, per ascoltare la voce grave del contrabbasso e tramontare senza rassegnarsi, aggrappandosi a brandelli di allusioni classiche.
Il sofferto bis(per via della tendinite), On green dolphin street, con un torrente di musica limpida e impetuosa chiude degnamente la serata.
E' un jazz crudo, fedele al suo protocollo, senza concessioni: adatto ad un pubblico musicalmente adulto. Artisti professionalmente maturi eppur ludici, con ancora il piacere di una ricerca che continuano ad osare, perché se nell'improvvisazione azzardata possono inciampare si divertono a rimediare magnificamente con acrobazie di charme.
Sisa Bertini
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