L'APOSTOLO DEL SUICIDIO
Ricompaiono in due edizioni nazionali gli sparuti testi di Jacques Rigaut, amante dell'Italia che ha visitato nel 1925 soggiornando nel mitico Hotel Luna di Amalfi che ha ospitato tra gli altri Emile Zolà, Richard Wagner, Simone de Beauvoir... Mancava dall'edizione di Arcana Editrice nel 1980 che nell'antologia Tre suicidi contro la società lo comprendeva insieme a altri due autori irregolari quali Arthur Cravan e Jacques Vaché, traducendo alla lettera la precedente edizione francese di Christian Bourgois, che per il titolo si è ispirato alla trasmissione radiofonica (censurata) di Antonin Artaud del 1947, "Van Gogh le suicidé de la société".
Personaggio estremo, più dadaista dei dadaisti, Rigaut è così ossessionato dalla morte da affermare in uno dei suoi aforismi che «Dio si inasprisce, invidia all’uomo la sua mortalità», sostenendo anche la morte volontaria, teorizzata scrivendo che "il suicidio deve essere una vocazione", terrificante ambiguità che lo vede il gesto estremo come un progetto. Insomma un feticista del suicidio come atto estetico e atto di prosodia poetica.
Così, per la collana I libri dell'Arca di Joker è in libreria "Sarò un grande morto", mentre l'editore Bordolibero esce con "Agenzia Generale del suicidio" dove in un passaggio si legge proprio il catalogo dei servizi offerti da questo suo ufficio che dà il titolo al libro. Per la sua società immaginaria AGS che ha sede al n°73 di Boulevard Montparnasse, indirizzo dell'abitazione di Rigaut, ha stabilito tariffe specifiche a seconda della modalità che il cliente sceglie per essere soppresso: «Scarica elettrica 200 fr.; Revolver 100 fr.; Veleno 100 fr.; Annegamento 50 fr.; Morte profumata (compresa tassa sul lusso) 500 fr.; Impiccagione. Suicidio da poveri 5 fr.», con il sovrapprezzo se deve essere fornita anche la corda: « 20 fr. al metro e 5 fr. per 10 centimetri supplementari».
Rigaut era un'uomo di una bellezza pungente, un'eleganza irreprensibile, una battuta instancabile, una delicatezza serafica, un fascino misterioso, un'attrazione generosamente ricambiata per donne ricche, in fuga dalla noia borghese e spontaneamente generose senza che lui dovesse chiedere nulla; uno spirito amoralista, un tossicomane, un alcolista, un collezionista di scatole di fiammiferi vuote. Per lui non si trattava di rifiutare la vita disprezzandola, ma di crearne un'epifania artistica, camminando su un filo teso tra le emozioni che suscita e il nulla che essa crea.
Nel numero 17 della rivista Littérature del dicembre 1920 scrive: « Il suicidio è molto comodo: non riesco a smettere di pensarci». A Philippe Saupault dice: «il mio libro sul comodino è una rivoltella». E una sera la usa sparandosi al cuore nella camera di un sanatorio Vallée-aux-Loups di Châtenay-Malabry, quando non ha ancora compiuto 31 anni. Così realizza i due progetti che hanno ispirato la sua breve esistenza: quello di non pubblicare alcun libro, lasciando solo aforismi e pensieri che non superano le cento pagine, e quello del suicidio messo in scena curando tutti i minimi particolari con un'accuratissima regia. Sul tavolo della stanza è messa in bella mostra tutta la sua collezione di scatole di fiammiferi vuote. Intanto, fuori dal sanatorio un taxista a cui aveva chiesto di aspettando, era rimasto lì invano. Fino all'alba. In uno dei suoi ultimi aforismi inediti scrive: «condannato all'eleganza, secondo una bozza fatale, condannato all'elegante disperazione dei giovani dotati, fatto all'altezza della mia bara». Il "grande morto" riposa in una bara sepolta al cimitero di Montmartre, dove sulla tomba abbandonata nessuno appoggia un fiore.
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