Vogliamo (ancora) tutto?


I primi anni sessanta italiani sono stati un laboratorio straordinariamente vivace in tutte le discipline della creazione. In aggiunta a questo fermento, tutti i protagonisti principali hanno contribuito ad approfondire, con i loro strumenti, una visione che criticasse il neocapitalismo con fermezza e lucidità, da una intransigente posizione di sinistra. Dalla musica di Berio e Nono al romanzo sperimentale, dall’arte figurativa alla saggistica pubblicata in monografie e in periodici,  il dibattito attaccava le contraddizioni del capitalismo, spingendo le proprie analisi nel cuore del luogo deputato al lavoro di massa: la fabbrica.
E’ proprio qui che Nanni Balestrini, poeta e romanziere che ha sposato la militanza politica con le posizioni neoavanguardiste dei Nuovissimi, del Gruppo 63, di Quindici, ambienta il suo secondo romanzo pubblicato nel 1971 con il titolo imperativo di “Vogliamo tutto”.





Siamo in quella che per l’Italia è il simbolo della fabbrica, la FIAT. Qui è approdato, come tantissimi suoi conterranei meridionali, un personaggio che incarna l”operaio massa”: emblematica figura scaturita dalle analisi sullo sviluppo capitalistico nel dopoguerra pubblicate sui “Quaderni rossi”, mitico periodico ideato da Raniero Panzieri. E’ bene ricordare che oltre alle teorie sostenute su “Quaderni rossi”, il libro si alimenta anche di quelle uscite sin dal 1964 sull’altro caposaldo dell’editoria periodica dell’epoca, “Classe operaia”, dove vengono chiariti i nuovi parametri di lotta. Il passaggio teorico è cruciale in quanto il soggetto è diventato la classe operaia, spodestando quello della massa indistinta chiamata popolo; mentre il luogo della lotta si è spostato nell’area circoscritta fabbrica e non più in quella virtuale della società civile. Il rovesciamento proposto da questo assunto è così radicale da comportare una rottura con il togliattismo lavorista, con il terzomondismo dell’epoca, con l’idea terzinternazionalista del ruolo del partito. Forte di queste riflessioni, con l’operaismo nazionale nasce un marxismo antidialettico che fa scaturire dalle lotte  e nelle lotte il suo manifesto:  è un libro del 1966, Operai e Capitale, una sorta di opera collettiva in cui sono protagonisti i citati Quaderni rossi e Classe operaia.





Queste sono i parametri ideologici con cui Balestrini fa pensare il protagonista di Vogliamo tutto, mentre si ribella contro il lavoro della fabbrica e le sue crudeli catene. Lo fa in quell’incandescente 1969, teatro di uno sciopero durato 50 giorni che ha messo in ginocchio Torino, riempiendo il suo sfogo emozionale di un sostanzioso contenuto politico. Dalla sua voce ascoltiamo anche ragionamenti critici che suonano familiari al dibattito contemporaneo, parlando di sindacati troppo timidi con i padroni e di partiti lentissimi nel sostenere i cambiamenti radicali richiesti. Dal punto di vista letterario, Balestrini opta per uno stile iperrealista destrutturato e ricombinato, dove le parole verbali sono tessere ritmiche in un procedimento della scrittura che ha reso unica la sua modalità di composizione. In fondo l’autore ci fa capire che poco importa se il ragazzo del Sud, non proprio alfabetizzato, esponga il suo racconto a strafalcioni. L’importante è che la sua imprecisione dialettica corrisponda ad una lucidissima presa di coscienza e ad un’analisi, questa volta precisissima, sui temi che affliggono lui e i suoi compagni di lavoro. 




La sottolineatura sembra suggerire l’idea che gli operai della fabbrica possono emanciparsi dalla loro preparazione culturale di base, per divenire la vera voce di un sentimento di ribellione che non si identifica semplicemente con il blando incedere delle battaglie sindacali e l’invisibile contenuto dell’azione politica dei partiti.  Per questo le parole del protagonista non sono quelle di un individuo ma quelle della collettività operaia che sta conducendo una ferma battaglia politica, facendo parte dei militanti di Potere Operaio. Purtroppo i fatti hanno dimostrato che quel bisogno di rivolta non è riuscito dilagare a sufficienza per realizzare il suo progetto alternativo. Ma chi volesse riprendere in mano questo romanzo che è uno strumento di conoscenza, di denuncia e di speranza, oggi lo può finalmente ritrovare nella nuova edizione per DeriveApprodi (2013). 




In conclusione un brevissimo stralcio che fa respirare immediatamente l’atmosfera FIAT, dalla parte del Commendatore e da quella degli operai:  Mi viene uno sprazzo di fantasia adesso entro nella Fiat col cartello. Entro col cartello in una mano e il tesserino nell’altra. Perché per entrare bisogna mostrare il tesserino se sei dipendente o no. Se no chissà ci può andare dentro un bandito uno che vuole mettere una bomba. Il primo guardione mi guarda sorpreso a bocca aperta. È la prima volta in vita sua che vede un cartello dentro la Fiat passare i cancelli legalmente col tesserino Fiat in mano. Il capo dei guardioni mi viene incontro e dice Lei si fermi. Dici a me? Sì cosa fa con questo cartello? Con questo qua? faccio io. Lo tengo esposto. Ma non sa che non si può entrare coi cartelli? E dove sta scritto? Nei regolamenti non c’è questo fatto che non si può entrare coi cartelli perciò io entro. No non si può entrare. Ma allora questo è un arbitrio che non si può entrare lo stai decidendo tu adesso qua io invece entro. Questo cartello mi piace e me lo porto appresso. No non si deve entrare con cose che non c’entrano col lavoro. E allora perché quello lì entra col Corriere dello Sport che cazzo c’entra il Corriere dello Sport col lavoro e cogli operai. Questo cartello qua almeno interessa agli operai quel giornale lì non interessa a nessuno."

E… come dice il consiglio che un anonimo ha scritto su un anonimo muro:







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