L'ARTE PROGRAMMATA A CASA OLIVETTI

Catalogo per la mostra allo showroom Olivetti di Milano

La mostra Arte Programmata. Arte cinetica, opere moltiplicate, opera aperta, è stata inaugurata nel maggio del 1962 presso il negozio Olivetti a Milano, con l'organizzazione di Bruno Munari e Giorgio Soavi, e la presentazione di Umberto Eco. Il soggetto di questa collettiva rappresenta una prima riflessione sull’uso della cultura elettronica che si affacciava in Italia soprattutto attraverso la Olivett che è stata un'azienda visionaria nell'interrogavarsi sulle implicazioni culturali e sociali dell'era digitale agli albori della sua storia, il progetto espositivo del 1962, resta un esempio virtuoso di come all'apparato teorico e culturale si sia unito il sostengo dell'industria sotto un'unica visione, dove l'arte è un linguaggio che può avvicinare alla modernità. Partecipano al progetto Enzo Mari lo stesso Munari, i nove "disegnatori sperimentali" del Gruppo N di Padova,  il Gruppo T (dove T sta ad indicare il tempo come dispositivo di cultura visuale).  A fondare nel 1959 quest'ultimo sodalizio milanese sono Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo e Gabriele De Vecchi, che avevano presentato le proprie opere nel gennaio 1960 alla galleria Pater di Milano, intitolando nella mostra intitolata "Miriorama 1", che in quell'occasione redige il manifesto programmatico.

Il Gruppo T con Lucio Fontana alla Galleria Pater di Milano, 1960

I firmatari di questo documento teorizzano: "Ogni aspetto della realtà, colore, forma, luce, spazi geometrici e tempo astronomico, è l'aspetto diverso del relazionarsi dello SPAZIO-TEMPO o meglio: modi diversi di percepire il relazionarsi fra SPAZIO e TEMPO. Consideriamo quindi la realtà come continuo divenire di "fenomeni" che noi percepiamo nella "variazione". Da quando una realtà intesa in questi termini ha preso il posto, nella coscienza dell'uomo (o solamente nella sua intuizione) di una realtà fissa e immutabile, noi ravvisiamo nelle arti una tendenza ad esprimere la realtà nei suoi termini di divenire. Quindi considerando l' "opera" come una "realtà" fatta con gli stessi elementi che costituiscono quella "realtà che ci circonda" è necessario che l'opera stessa sia in continua variazione. 

Mario Dondero, G. Colombo, Boriani, Anceschi, Devecchi, E. Mari e G. Varisco, durante l'inaugurazione della mostra Arte Programmata, Milano, maggio 1962.

Con questo noi non rifiutiamo la validità di mezzi quali colore, forma, luce. ecc...., ma li ridimensioniamo immettendoli nell'opera nella situazione vera in cui li riconosciamo nella realtà, cioè in continua variazione che è l'effetto del loro relazionarsi reciproco". Insomma,  l’idea che l’opera d’arte potesse essere completata dall’azione-interazione dello spettatore si concretizza grazie a questo tipo di sperimentazione in modo pioneristico, introducendo nel processo di realizzazione dei loro progetti l’uso della tecnologia e l’applicazione di un approccio algoritmico. Rispetto a questo tipo di sperimentazione, la creazione di ambienti e artefatti interattivi tramite meccanismi cinetici ed effetti otticiche combinavano design, arte e tecnologia,  le opere degli artisti del Gruppo T rappresentano un punto di riferimento utile per interpretare un tipo di arte che fu definita Arte Programmata e che, in seguito, gettò le basi per lo sviluppo dell’arte interattiva, proponendo nuovi codici di lettura dell’arte in cui gli spettatori diventarono utenti e co-autori dell’opera, partecipando all’atto creativo con l’azione diretta del loro corpo. 

In tutto questo fermento l'azienda Olivetti ha ricoperto un ruolo attivo nell'indirizzare la sperimentazione degli artisti sottolineando la sua natura interdisciplinare capace di creare progettualità e visioni uniche nel panorama internazionale, ponendo le migliori condizioni per un dialogo tra arte, design, industria e innovazione. La definizione Arte programmata fu introdotta da Umberto Eco nel saggio La forma del disordine, pubblicato sull’Almanacco Letterario Bompiani 1961 per definire l'approccio razionalizzante della nuova generazione di artisti/programmatori. Eco commenta così un esperimento di Nanni Balestrini: "“Questo è molto importante: in altra parte dell’Almanacco troveremo le poesie elettroniche di Nanni Balestrini. Con la complicità di un poeta e di un ingegnere programmatore, il cervello IBM ha sparato più di tremila variazioni dello stesso gruppo di versi, tentando tutte le combinazioni che le regole di partenza gli davano come possibili. Se andiamo a cercare tra i tremila risultati ne troveremo alcuni insulsi, altri (pochi, mi pare) di altissima temperatura lirica, che non avremmo esitato ad attribuire ad un cervello umano. Ma è proprio qui l’errore: questi pochi risultati elettissimi, probabilmente Balestrini sarebbe stato in grado di ottenerli da solo a tavolino; scelti i versi, poco ci voleva a metterli insieme nel modo più acconcio “alla maniera di”, o comunque in armonia con certe correnti di gusto. L’opera del cervello elettronico, e la sua validità (se non altro sperimentale e provocatoria) consiste invece proprio nel fatto che le poesie sono tremila e bisogna leggerle tutte insieme. L’opera intera sta nelle sue variazioni, anzi nella sua variabilità. Il cervello elettronico ha fatto un tentativo di “opera aperta”. (…). dal canto suo Livio Zanetti sull'”Espresso” del 10 dicembre 1961, descrive con una certa cura le caratteristiche dell’esperimento, dimostrando anche una ricchezza di informazioni su di esso di gran lunga superiore a quella dei critici che se occuperanno in seguito. Il titolo della recensione, “Bompiani ordina poesie a macchina“, è supportato da un occhiello che afferma con sicurezza: “Il cervello elettronico entra nella storia della letteratura“. Un certo sensazionalismo traspare anche dai primi capoversi dell’articolo, che peraltro precisano meglio l’affermazione contenuta nel titolo: “Milano. La macchina che fa le poesie si chiama Mark I, sta in via Verdi 21, in un ufficio della Cassa di Risparmio delle Province Lombarde. Alta pressappoco come un uomo piccolo e larga quattro metri e mezzo, a vederla sembra un gigantesco flipper con migliaia di scatti, accensioni, magnetismi, piccoli rantoli, e con attorno una mezza dozzina di tecnici in camice bianco. (…).”. Più avanti si legge: “In che modo impiegare la macchina? Fino a che punto? Praticamente (Balestrini,ndr) avrebbe potuto infilarle dentro il vocabolario e mettersi ad aspettare. Ormai il vecchio aforisma di Einstein, che se si prende uno scimpanzè e lo si mette davanti alla macchina da scrivere dopo qualche milione di anni esce fuori l’ ‘Amleto’, oggi è diventato verificabile. Ma ci vuole sempre abbastanza tempo, e lavoro. Balestrini ha preferito semplificare i compiti alla macchina Mark. Gli è parso più opportuno adoperarla come una volta si usava il rimario, cioè come espediente tecnico con funzioni limitate. Così ha preso alcuni pezzi di periodo (una quindicina) e ha ordinato a Mark di rimetterli insieme secondo tutte le combinazioni e secondo determinate cadenze tecniche.” 

                


Alla fine della mostra promossa presso il magnifico showroom Olivetti in Galleria Vittorio Emanuele, le opere esposte sono state impacchettate nei cartoni arancione di Olivetti  per essere spedite negli altri punti vendita a Roma, e quindi nello splendido spazio progettato da Carlo Scarpa nella Piazza San Marco di Venezia in cui si sono aggiunti i lavori di  Getulio Alviani e del Groupe de Recherche d'Art Visuel di Parigi. 


Tutti insieme proseguiranno per Trieste, Dusseldorf, Londra, gli Stati Uniti, distinguendosi per la loro visione estetica coniugata ad un etica contraria all'individualismo che si tradurrà, nel caso del Gruppo N in attivismo politico durante i sollevamenti del sessantotto. Sul catalogo della mostra che porta in apertura la frase di Paul Valéry "la più grande libertà nasce dal più grande rigore", Umberto Eco sostiene che "è sempre stata l’arte a modificare per prima il nostro modo di pensare, di vedere, di sentire". 


Munari commenterà così: mai abbiamo avuto una mostra così preparata, catalogata, allestita, illuminata, pagata, propagandata, fotografata".Ciliegina sulla torta:  al gruppo si aggiunge Luciano Berio che scriverà la musica per il documentario girato in 35 mm da Enzo Monachesi nel 1963, prodotto dalla direzione pubblicità e stampa Olivetti come ulteriore supporto alla mostra e conservato presso l'Archivio Nazionale del Cinema d'Impresa di Ivrea. Sul cartello con cui si apre il film  si legge: "quando l'arte è viva cambia i suoi mezzi di espressione per adeguarsi ogni volta alla mutata sensibilità dell'uomo".

Lo si può vedere al link:

https://youtu.be/iji_cT9L6RQ



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